“La richiesta di rinuncia al “superfluo” sembra ragionevole, perché si innesta su una narrazione moralistica della vita a cui siamo stati da sempre sottoposti. Ma ciò che sfugge è che il nostro “superfluo” è l’”essenziale” di altri: per il ristoratore, i suoi camerieri, gli insegnanti di fitness, gli albergatori o gli attori, quel nostro “superfluo” è la vita…
(…) Un mondo “senza superfluo” è un mondo a bassissima domanda e quindi con pochissime possibilità di impiego. È, in definitiva, un mondo incapace di produrre livelli minimi di ricchezza per parte importante della sua popolazione – o comunque destinato a regredire verso un’economia sostanzialmente di sussistenza”.