Sacrifichiamo i singoli per l’interesse comune.

Vi racconto una storia probabilmente successa a Tenochtitlan, antica capitale Azteca, situate nei pressi dell’attuale Città del Messico, alla fine del quindicesimo secolo e pochi anni prima che i conquistadores spagnoli di Hernán Cortez la conquistassero nel 1521. Un bell’esempio di come il sacrificio del singolo sia necessario per tutelare l’interesse della società.
C’era stata una grande siccità e gli scienziati nonché stregoni dell’epoca, guidati dai due saggi Burionitacl e Cristantimoc, si interrogavano su come supplicare gli dei a far tornare la pioggia per salvare i raccolti. Presto detto, decisero di sacrificare tutti i primogeniti maschi sotto i 4 anni di età.
“Come tutte le altre civiltà precolombiane conosciute, gli Aztechi praticavano il sacrificio umano, soprattutto durante ognuna delle loro 18 festività, una per ogni mese di 20 giorni.
I sacerdoti aztechi ritenevano che un grande sacrificio sempre in corso sostenesse l’universo. Un forte senso di indebitamento è collegato a questa visione del mondo. Come disse anche Bernardino de Sahagún, si diceva che in un certo senso le vittime stessero “svolgendo il loro lavoro”.
In questo senso il sacrificio umano diventava il più alto grado di offerta tramite la quale gli Aztechi ripagavano il proprio debito nei confronti degli dei. Anche il palco del sacrificio umano, le grandi piramidi che fungevano da tempio, erano colline offerte agli dei, piene di tesori, grano, terra e sacrifici umani e animali.
Peraltro, la popolazione atzeca, non paga di aver sacrificato i propri figli, per ingraziarsi ulteriormente gli dei, iniziò una diffusa pratica di automutilazione. I semplici cittadini offrivano spine di agave, colorate col proprio sangue e, come i re Maya, offrivano sangue dalla loro lingua, dai lobi delle orecchie o dal pene. Come gli odierni autolesionisti, gli Aztechi praticavano il salasso da tagli inferti con coltelli in ossidiana o con ossi appuntiti sulla propria carne, come ad esempio lobi delle orecchie, labbra, lingua, petto e polpacci. Era considerato un personale atto di penitenza verso gli dei.
Alcuni anni dopo la conquista del Messico da parte degli spagnoli, un gruppo di francescani ordinò agli ultimi sacerdoti aztechi, sotto minaccia di morte, di porre fine a questa pratica omicida. I sacerdoti aztechi si difesero in questo modo:
«La vita è opera degli dei; con il loro sacrificio ci diedero la vita […]. Essi forniscono il nostro sostentamento […] che nutre la vita»
(Henry B. Nicholson, Handbook of Middle American Indians)”.
(la parte “ ” è tratta e riadattata da Wikipedia. I primi due paragrafi sono invece liberamente ispirati da vicende realmente accadute innumerevoli volte nei secoli. Non abbiamo testimonianze di voci contrarie a quelle pratiche barbare, perché come tutte le società intolleranti, il dissenso viene sempre messo a tacere. Anche la scienza atzeca non accettava negazionisti.)